Passio Domini – Intervista a don Salvatore Cognetti

Don Maurizio Franconiere, Incaricato Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici e Direttore MUDAS intervista il Vicario Generale don Salvatore Cognetti
Don Maurizio Franconiere, Incaricato Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici e Direttore MUDAS intervista il Vicario Generale don Salvatore Cognetti
Passio Domini intervista a don Salvatore Cognetti del 26 marzo 2024

Don Salvatore Cognetti ha accettato l’invito di offrire una riflessione sui misteri di salvezza celebrati dalla Chiesa portati a compimento da Gesù negli ultimi giorni della sua vita in quell’evento che noi ricordiamo come Passione, Morte e Risurrezione di Cristo.

L’evento che presentiamo, ha sottolineato don Maurizio (Incaricato Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici e Direttore MUDAS),  è stato voluto dall’Ufficio dei Beni Culturali Ecclesiastici proprio nel Museo Diocesano perché si vuole mettere in evidenza non solo il luogo principale della conservazione, valorizzazione e tutela dei beni culturali, ma come il museo esprima il complesso rapporto tra i Christi Fidelis e i beni culturali in quanto il patrimonio storico artistico ecclesiale non è costituito in funzione dei musei ma è espressione di culto, catechesi, cultura e caritas di una determinata comunità e in quanto tale è segno della Grazia.

Saluto con piacere tutti gli ascoltatori che hanno iniziato con la grande celebrazione della domenica delle Palme a vivere questa Settimana Santa che deve essere una settimana di profonda immersione nel mistero della morte e Resurrezione del Signore.

Durante questa Settimana Santa dobbiamo veramente vivere con impegno e intensità questa assimilazione della nostra esistenza all’esistenza di nostro Signore Gesù Cristo, unico Salvatore della nostra vita ed appunto la domanda parte da quest’idea.

Noi affermiamo sempre che la Chiesa è dispensatrice di salvezza, che Gesù Cristo ha portato la salvezza sulla terra, ma cosa si intende con questo termine salvezza?  La nozione di salvezza è una nozione coeva ad ogni esperienza religiosa. Possiamo affermare che ogni religione nasce per realizzare la salvezza. Quando noi diciamo il termine religione e il termine salvezza sono due termini complementari.

Non può esistere una religione che non proponga un itinerario di salvezza. Ma che cosa intendiamo con il termine salvezza? Intendiamo il raggiungimento da parte dell’essere umano di una condizione definitiva, di una condizione non più revocabile, di una condizione stabile in cui l’essere umano viene affrancato dal dolore e gode la felicità costante e continua della sua esistenza.

Ogni religione individua questa condizione di salvezza non come una condizione che si possa realizzare su questa terra, ma come una condizione che è preparata dall’esperienza religiosa per essere raggiunta dopo la morte.

Ecco, la salvezza cristiana è questa condizione ultraterrena stabile, piena, definitiva nella quale l’uomo, sperimentando la pienezza della partecipazione alla vita di Dio, potrà godere di una felicità imperitura, un’esistenza in cui non vi sia più pianto, lutto, dolore e sofferenza.

E questa è l’aspirazione massima e il motivo per cui ognuno di noi alla fine si scopre persona religiosa, perché ognuno di noi ha bisogno, quando si confronta con i dolori della vita e poi quando si confronterà con la morte di attendere a questa salvezza

Ogni religione presenta un itinerario specifico di salvezza,  la religione cristiana presenta la visione più completa e piena della salvezza perché l’assunto della religione cristiana è che l’uomo non trova la salvezza con i propri mezzi ,affidandosi alla propria intelligenza, alla propria capacità e anche alla propria esperienza spirituale, alla propria capacità di scendere nel profondo del suo cuore ma trova la sua salvezza quando si abbandona fiduciosamente ad una rivelazione e la rivelazione in questo caso è quella contenuta nella Sacra Scrittura che ci racconta, non solo tutta una preparazione della salvezza portata da Cristo ma poi ci presenta il figlio di Dio che entra nella condizione umana, assume la natura umana, vive predicando e annunciando quella che è la volontà di Dio agli uomini  e poi offre se stesso al Padre sulla croce in sacrificio espiatorio per il perdono dei peccati degli uomini.

Ecco nella croce di Cristo avviene questo evento fondamentale e ultimo della nostra salvezza per cui i nostri peccati sono perdonati perché il figlio di Dio ha preso  su di sé Il castigo delle nostre colpe e dalla Croce rivolge al padre il proprio grido di perdonare gli uomini perché ormai i peccati degli uomini sono stati castigati nel corpo Crocifisso di colui che è l’innocente per eccellenza e quindi con Cristo si apre questa grande fase storica in cui Dio offre il suo perdono pieno completo totale per grazia all’uomo che si abbandona fiduciosamente al suo amore.  

Certamente, dopo che l’uomo ha raggiunto nella fede questa giustificazione della propria esistenza, deve vivere secondo la volontà di Dio, deve obbedire ai comandamenti di Dio e condurre un’esistenza che porti frutto e realizzi quelli che sono i segni della grazia la carità, il perdono, la pazienza, tutte quelle che sono le virtù della vita cristiana per poter poi ricevere, un giorno, il premio eterno quando si presenterà davanti alla giustizia di Dio

Io sono convinto che dobbiamo recuperare questa grande spiritualità del Sabato Santo perché, nella tradizione della chiesa, la discesa di Gesù agli inferi ha la finalità di portare in cielo quelli che erano i giusti dell’Antico Testamento. Questa finalità di aprire quelle che erano chiamate le porte del Limbo, perché i giusti dell’Antico Testamento potessero entrare nel regno dei cieli.

Recentemente la teologia cattolica, soprattutto su ispirazione del grande teologo svizzero Von Balthasar, creato Cardinale verso il termine della sua vita da Giovanni Paolo II, ci invita ad una riflessione più profonda sulla discesa di Gesù agli inferi.

La discesa di Gesù agli inferi è la conoscenza che il figlio di Dio nella sua carne ha della condizione di lontananza totale e definitiva dell’uomo da Dio quando l’uomo è immerso nel peccato.

Ecco, quindi, che il discendere agli inferi è il guardare, da parte del figlio di Dio, la condizione di desolazione dell’essere umano, che vive nella lontananza dall’amore di Dio. È quindi uno scendere nel profondo abisso della condizione umana quando questa è totalmente separata dal suo Creatore e dal suo Salvatore.

Contemplare il Sabato Santo, contemplare la discesa di Gesù agli inferi significa contemplare questo amore così profondo di Dio che vuole conoscere la condizione umana nella sua drammaticità, che non fa sua semplicemente la condizione umana nell’esperienza della vita terrena, ma che, dopo la morte e prima di ascendere al cielo, scende nel più profondo dell’abisso in cui la condizione umana si trova quando è separata dall’amore di Dio.

L’annuncio centrale della fede Cristiana è che, mediante la passione del Signore e la sua Resurrezione, anche a noi è data la possibilità, dopo la morte, di entrare nella vita eterna. È data la possibilità dopo la morte di accedere ad una condizione di esistenza profondamente diversa da quella che conduciamo nella vita terrena. Un’esistenza in cui noi siamo chiamati a partecipare alla stessa eternità di Dio.

Quando noi parliamo di vita eterna, parliamo di una vita in cui l’essere umano è chiamato,  per i meriti di Cristo, avendo ricevuto il perdono dei propri peccati e avendo portato durante la sua esistenza frutti di grazia della sua vita concreta,  alla possibilità di partecipare alla stessa eternità di Dio.

L’uomo ha la possibilità di vedere, nella propria esistenza, quella che è la condizione propria della divinità, cioè la gioia che la divinità prova perché essendo eterna non può morire, non può cessare la propria esistenza.

Se noi ci domandiamo da dove deriva la felicità di Dio, perché Dio è felice, possiamo rispondere che Dio è felice perché è eterno, perché possiede in una maniera piena e completa la sua esistenza.  

Noi siamo infelici su questa terra perché comprendiamo che non possediamo la nostra esistenza, un’esistenza che va incontro al dolore, alla sofferenza, un’esistenza che dobbiamo perdere, un’esistenza che può fallire, un’esistenza in cui non realizziamo i nostri progetti. Noi non possediamo la nostra esistenza.

Entrando nell’eternità, partecipando dell’eternità stessa di Dio, noi partecipiamo alla sua felicità perché possediamo, per dono del Signore, in eterno la nostra vita e questo sarà la fonte di quella gioia eterna che ci attende dopo la morte.

Per vedere l’intervista completa clicca qui