Lungo la via. Non per dove, ma con chi

C’è un’espressione che ha segnato l’ultima formazione nazionale del Progetto Policoro: “Lungo la via”. È da lì che voglio partire, perché è proprio “lungo la via” che si sta disegnando il mio cammino come animatrice del progetto. Un cammino che non guarda tanto alla meta, ma al condividere il passo. Non importa dove si va, ma con chi si sceglie di camminare.

In questo anno, una parola ha preso forma con forza, fino a risuonare in ogni incontro, in ogni sguardo incrociato: periferia.

Periferie geografiche, certo quei paesi lontani dai centri, spesso dimenticati. Ma soprattutto periferie esistenziali: quei luoghi invisibili, dove abitano fragilità, sogni interrotti, desideri silenziosi. Dove i giovani camminano in bilico, tra il sogno e la resa, tra il bisogno di riscatto e la paura di non farcela. Lì ho sentito di dover essere. Con passo lieve, in punta di piedi. Senza voler insegnare, ma per ascoltare. Per accompagnare, anche solo per un tratto breve, ma vero.

Da queste periferie ho iniziato tre vie: la via del carcere, la via delle parrocchie più periferiche, la via dei gesti concreti

Una di queste periferie è il carcere dove ho imparato a costruire ponti, negli sguardi affidati, nei sogni sussurrati tra le mura, nella voglia sincera di essere ascoltati.. In quei corridoi chiusi ho incontrato sogni ancora vivi. E lì ho sentito che non poteva bastare un semplice progetto. Quel “esserci” doveva diventare presenza costante e silenziosa. Così, ogni settimana, torno. Non solo per orientare al lavoro, ma per camminare insieme, per coltivare sogni, per cercare speranza. Parliamo di emozioni, di obiettivi, di competenze. Ma soprattutto cerchiamo insieme quella bellezza interiore che spesso resta nascosta, dimenticata. Ogni incontro è crescita reciproca. Portocon me sorrisi, parole scritte su un cartellone, strette di mano, storie, volti, battute, emozioni e la domanda che più mi tocca: “Quando torni?”
E in quella domanda sento che i semi piantati, anche nei terreni più difficili, iniziano a fiorire.

Anche nelle parrocchie più periferiche ho incontrato un’umanità viva. Adolescenti pieni di sogni ma incerti sul futuro, giovani che, nonostante le fragilità dei territori, hanno voglia di formarsi, di confrontarsi, di incontrarsi. Con il ciclo di incontri “Gira la bussola” abbiamo parlato di lavoro, sogni, orientamento. Insieme, abbiamo coltivato semi: desideri, relazioni, speranze per loro stessi e per le loro comunità.

E poi c’è la via dei gesti concreti. Come quella iniziata con Giuseppe, un ragazzo con una storia forte e il desiderio di ricominciare. Il suo sogno era semplice: lavorare la terra. Con fatica e passione è nato l’Orto Matto, un luogo dove la terra accoglie, dove le mani si sporcano e le vite si intrecciano. Un pezzo di terra che è diventato simbolo di rinascita, di agricoltura sociale, di cura. Dove la vita si intreccia e si rafforza.

Tre vie, un solo cuore. Queste esperienze si intrecciano con la strada che ogni giovane percorre, con il Vangelo che ci guida, al sogno di un Lavoro che diventa Vocazione, possibilità di dignità e rinascita.

E proprio in quest’anno, nel cuore del Giubileo della Speranza, sento con forza che è lei, la speranza  il centro di tutto. Quella speranza che nasce da un cuore aperto, da un incontro vero, da un gesto che accoglie. Quella speranza che Papa Francesco ci invita a vivere quando dice: “Siamo tutti chiamati a costruire ponti, non muri.”

E allora sì, passo dopo passo, possiamo farlo.
Possiamo costruire un futuro diverso, se ci crediamo insieme.

Chiudo con le parole del Papa Leone, che hanno risuonato in me in questi mesi:
“Getta i semi anche là dove è improbabile che portino frutto: sulla strada, tra i sassi, in mezzo ai rovi.”

E oggi, con tutto il cuore, voglio dire: Non smettiamo mai di seminare.
Anche nei luoghi più bui, più difficili, c’è sempre un piccolo terreno che aspetta solo una scintilla di luce per fiorire. Perché la speranza è un ponte.
E noi siamo chiamati a costruirlo. Ogni giorno. Insieme.