In un tempo in cui la comunicazione sembra spesso il campo di battaglia di paure, rancori e contrapposizioni, la 59ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali ci invita a riscoprirne la vocazione originaria: essere ponte e non muro, seme di speranza e non miccia di conflitto. Il messaggio di Papa Francesco, rilanciato in continuità da Papa Leone XIV, è un appello tanto semplice quanto radicale: disarmare la comunicazione.
Disarmare la comunicazione significa sottrarle le armi dell’aggressività verbale, della semplificazione ideologica, del clamore sterile. Significa restituirle la forza dell’incontro, l’umiltà dell’ascolto, il coraggio della verità detta con amore. E questa non è un’impresa riservata a giornalisti e comunicatori professionisti. Oggi più che mai, ogni persona è un comunicatore. Ogni parola scritta in un post, ogni commento condiviso, ogni conversazione tenuta in famiglia o sul posto di lavoro contribuisce a tessere il clima comunicativo del nostro tempo.
La comunicazione, come ci ricordano entrambi i Papi, ha un potere immenso: può generare speranza oppure seminare disperazione. Può dare voce agli ultimi, oppure lasciarli nel silenzio. Le cronache recenti da Gaza, dove centinaia di giornalisti locali hanno perso la vita mentre cercavano di raccontare l’indicibile, ci ricordano che l’informazione è spesso questione di coraggio, ma anche di giustizia. Dove non c’è libertà di raccontare, la speranza viene soffocata.
Eppure, anche nei contesti più difficili, ci è chiesto di “condividere con mitezza la speranza”. La mitezza non è debolezza, ma forza gentile. È la postura di chi sa che l’altro non è un nemico da sconfiggere, ma un fratello da incontrare. Una comunicazione mite è una comunicazione che non cede alla tentazione del sensazionalismo, ma cerca la profondità. Che non cerca il consenso a tutti i costi, ma resta fedele alla verità, vissuta nella carità.
In questo, la comunicazione cattolica ha una responsabilità speciale. Non si tratta di difendere uno spazio confessionale, ma di testimoniare, dentro il mondo dell’informazione, uno stile diverso: credibile, coerente, radicato in valori non negoziabili come la dignità della persona, la giustizia, la pace, la verità. Un compito che si rafforza nella sinergia con le realtà professionali del giornalismo, come l’Ordine e le associazioni di categoria, che condividono la ricerca di un’informazione seria e responsabile.
Dall’elezione di Papa Leone XIV abbiamo ricevuto un ulteriore segnale in questa direzione. I giorni del Conclave, osservati da milioni di persone in tutto il mondo, hanno mostrato come anche i gesti più antichi e simbolici possano parlare con forza al cuore dell’uomo contemporaneo, se raccontati con rispetto e profondità. La comunicazione, anche nei grandi eventi mediatici, può essere occasione di riflessione, non solo di spettacolo.
Il mondo ha fame di notizie, ma ha ancor più fame di speranza. Come cristiani, come cittadini, come comunicatori, siamo chiamati ad offrire questa speranza non con slogan o retorica, ma con parole vere, miti, forti. Parole che edificano e non abbattono, che uniscono e non dividono. Parole che disarmano, perché nascono da cuori che hanno scelto il Vangelo della pace.
In questa Giornata, l’augurio è che ciascuno di noi si senta coinvolto in questa missione. Perché comunicare bene non è un optional: è uno dei modi più concreti per costruire un mondo più umano.
La Redazione