«Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (Atti 4,20)
Viviamo in un tempo in cui è facile smarrirsi nel rumore del mondo e, paradossalmente, anche nel silenzio. Un silenzio che non è più spazio di ascolto e preghiera, ma che rischia di diventare complicità, paura, ritiro dalle responsabilità. In questo scenario, la Parola di Dio ci raggiunge con una forza profetica e ci scuote: “Silere non possum” – Non posso tacere.
Sono parole che appartengono alla Tradizione cristiana e risuonano oggi con rinnovata attualità. Sono l’eco della testimonianza apostolica, ma anche un invito alla nostra coscienza di battezzati.
Parlare per amore del Vangelo
Nella prima comunità cristiana, Pietro e Giovanni, interrogati dalle autorità, dichiarano con fermezza: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20).
Non è una sfida, non è un gesto ribelle: è la testimonianza di chi ha incontrato Cristo risorto e non può tenere per sé quella luce. Parlano non per essere ascoltati, ma perché la Parola di Dio è diventata fuoco nel cuore.
Anche san Francesco d’Assisi visse questa stessa urgenza interiore. Uomo di silenzio e di contemplazione, iniziò a parlare solo quando il Vangelo lo chiamò ad annunciare pace, penitenza e misericordia. Il suo “non posso tacere” fu sempre un gesto d’amore: verso la Chiesa, verso i fratelli, verso il creato.
E noi, oggi, cosa non possiamo più tacere?
Nella nostra vita diocesana, spesso ricca di attività, celebrazioni, cammini formativi, corriamo il rischio di parlare molto… ma tacere le cose più importanti.
C’è un silenzio che è prudente, orante, rispettoso. Ma ce n’è un altro che diventa omissione, paura di disturbare, ritiro nel privato.
Non possiamo tacere quando famiglie e giovani vivono il dramma della solitudine spirituale.
Non possiamo tacere di fronte alla cultura dello scarto, che emargina anziani, disabili, migranti.
Non possiamo tacere sull’urgenza della pace, mentre guerre dimenticate continuano a insanguinare il mondo. Non possiamo tacere sull’inquinamento della nostra terra, dono di Dio e casa di tutti.
Tacere in questi casi significa rinunciare alla profeziache ci è stata affidata nel Battesimo e nella Confermazione.
Una parola che nasce dalla preghiera
La voce che il cristiano è chiamato ad alzare non è mai polemica, non è rumorosa. È mite, vera, radicata nel Vangelo. Per questo ha bisogno di silenzio interiore, adorazione, ascolto della Parola.
Ogni comunità parrocchiale, ogni gruppo pastorale, ogni singolo fedele può oggi domandarsi: Cosa ci chiede lo Spirito Santo di non tacere? Quale testimonianza attende la nostra città, il nostro quartiere, la nostra Chiesa?
Forse non serviranno grandi discorsi, ma piccoli gesti profetici: un’attenzione concreta al povero, un’iniziativa per la custodia del creato, un incontro di preghiera per la pace, una parola buona detta a chi è solo. Anche questo è “non tacere”.
Conclusione: la nostra voce per la missione
Il Sinodo ci invita ad ascoltare, ma anche a parlare con franchezza e amore. “Silere non possum” può diventare il motto interiore di una Chiesa che si fa presenza viva e misericordiosa nel mondo.
Una Chiesa che non alza la voce per imporre, ma per annunciare che Cristo è vivo, che la speranza è possibile, che l’amore è più forte della morte.
Non possiamo tacere. Perché abbiamo visto l’opera di Dio nella nostra vita, nelle nostre comunità, nei cuori dei piccoli.
E il mondo ha sete di questa buona notizia.
Che la nostra voce sia mite, ma vera.
Che il nostro silenzio sia ascolto, mai indifferenza.
Che il nostro annuncio sia Vangelo, oggi.
Diacono Vittorio Politano